Recensioni

Marta De Santis
Un gruppo di liceali, annoiati e demotivati, decide di dare uno scossone alla propria esistenza organizzando un rapimento. La vittima predestinata è Federica, la giovane rampolla della famiglia Borghini; il pretesto è quello di distogliere le attenzioni "particolari" del ricco imprenditore per la madre di uno dei ragazzi. Marco, Luca e Stefano elaborano un piano d'azione quasi perfetto, e, infatti, il sequestro va a buon fine. Ma poi, il sospetto che Borghini appartenga a una loggia massonica e tanti altri incidenti di percorso mettono le forze dell'ordine alle costole dei sequestratori. Stefano, un carattere da leader, con una mente incredibilmente lucida e una freddezza criminale sorprendente tira le fila della vicenda e manipola con le sue arti di persuasione le menti dei suoi complici. Marco, morbosamente geloso della madre Flavia, si lascia guidare in questo pericoloso gioco senza ripensamenti, fino alle più tragiche conseguenze; Luca, al complicarsi della vicenda, inizia a fare i conti con la propria coscienza, trasformandosi da carnefice in vittima.


Questo sequestro di persona stava diventando una cosa complicata, Stefano ripensò alla notizia diffusa dal telegiornale e sorrise ancora al pensiero di quell'incredibile coincidenza. Proprio ora questi dovevano mettersi a spiare Borghini, un bel colpo di scena non c'è che dire. Il fatto assunse nuovi contorni per Stefano, qualcosa di molto somigliante a un'eccitante sfida. [...] Stefano chiuse gli occhi e sperò che la notizia fosse vera, sperò in un nuovo scossone. In fondo, fino a quel momento, tutto procedeva senza ostacoli, ogni tassello era al suo posto e si prospettava una conclusione senza sorprese. Decisamente poco divertente.
Al giorno d'oggi poche cose sconcertano realmente; capita a volte che il rapimento di una giovane donna venga dimenticato dopo una manciata d'ore per un gol durante una partita di coppa, o per gli scatti rubati a una nuova coppia di VIP.Ma come si può rimanere così in superficie? Dovremmo invece provare turbamento e raccapriccio per la violenza e la crudeltà di cui l'uomo è capace verso i propri simili; ancora più sconforto dovrebbe nascere all'idea che la semplice noia sia in grado di innescare meccanismi perversi e irreversibili, e che le nuove generazioni, per riempire il vuoto che le divora, arrivino troppo facilmente alla follia e ai deliri di onnipotenza. La cronaca nera degli ultimi tempi è animata sovente da adolescenti capaci di compiere, con mente lucida e calcolatrice, efferati delitti per i motivi più futili e senza cedimenti, neppure sotto la pressione giudiziaria o mediatica. Un'immagine inquietante che scardina quella della fanciullezza e dell'adolescenza come momenti d'innocenza e ingenuità. Domenico Geluardi affonda le radici del suo racconto proprio in questo terreno d'incertezza, di cui coglie l'essenza, dipingendo - con dovizia di particolari - un gruppo di giovani allo sbando. Stefano ha una mente brillante ma è annoiato dalla routine, dall'anonimità della propria vita, e dunque sfrutta la propria intelligenza per dar corpo alle sue perversioni: osare oltre l'immaginabile, raggiungere un potere quasi divino, entrare nella storia, dimostrare la "supremazia della ragione sui sentimenti". Marco è il classico bravo ragazzo, troppo timido, troppo sfigato, troppo mammone, che una volta sciolti i propri freni inibitori perde completamente il controllo fino allo sbando più totale. Luca è un ragazzo leale, che appoggia un amico anche oltre i limiti del buon senso, ma che tuttavia mantiene salde le proprie convinzioni e in qualche modo la propria etica. Infine Cynthia, aspirante giornalista, è coinvolta nel rapimento a causa della sua innata curiosità; giunta a un inutile ed evitabile martirio per la propria incoscienza. In tutti i personaggi si avverte la percezione del tragico, l'amarezza della realtà, l'esaltazione dell'Io e il desiderio di scuotere una società che li rende insoddisfatti e da cui non si sentono considerati. Li accomuna una vita deludente in cui sfiducia e noia possono trasformarsi in rabbia feroce, che sfocia nel desiderio indistinto di vendetta verso tutto e tutti. E' in quest'ambito che la violenza si presenta come mezzo efficace per rispondere alle delusioni della vita e per emergere da un frustrante anonimato. Un noir questo che appassiona, angoscia ma soprattutto fa riflettere su quanto accade attorno a noi, subito fuori dall'uscio delle nostre tranquille case. Il romanzo, ambientato e scritto nel 1992 da un Geluardi appena diciottenne, è rimasto nel cassetto per molti anni prima di incontrare l'approvazione di un editore. Eppure questo libro d'esordio è intrigante e coinvolgente, e non risparmia quei colpi di scena che spingono il lettore a seguire la storia con avida curiosità.


Carlo Cammarella
Il romanzo ha una storia comune a tanti libri di giovani esordienti. Con, in questo caso, anche un lieto fine. Domenico Geluardi scrive infatti Cynthia, la sua prima opera, nel 1992 quando ancora frequenta il liceo scientifico Archimede a Roma; il manoscritto non viene subito pubblicato e, come dice l'autore, “finisce in un cassetto” per molto tempo. Dovrà attendere quattordici anni perché sia preso in considerazione dalla casa editrice il Filo. Ambientato nella Roma degli anni Novanta, Cynthia narra la tragica avventura di alcuni liceali che decidono di dare un forte scossone alla propria esistenza. I tre protagonisti, Stefano, Luca e Marco decidono di sequestrare Federica, la figlia dell'imprenditore Borghini, che, invaghitosi della madre di Marco, Flavia, non le lascia vivere in maniera tranquilla il rapporto col figlio. Il sequestro va a buon fine e tutto sembra filare liscio ma in un “gioco” troppo pericoloso le varianti sono incontrollabili: il sospetto che Borghini appartenga ad una loggia massonica e tanti altri incidenti di percorso, complicano quel piano ben congegnato che inizialmente appariva facile e lineare.
Con una narrazione agile e a tratti incalzante l'autore ci trasporta nella realtà giovanile e negli abissi dell'alienazione che ne caratterizza l'esistenza, delineando i comportamenti e gli aspetti psicologici dei protagonisti. Con modalità diverse sono presenti in tutti i personaggi la percezione del tragico, l'amarezza della realtà, l'esaltazione dell'io in contrapposizione a una società che non accetta colpi di scena. Stefano è il leader del gruppo, è l'ideatore del piano nonché l'organizzatore di tutte le iniziative che vengono portate avanti dal trio; è ambizioso, scaltro, testardo, esaltato e deciso ad eliminare gli ostacoli che si collocano davanti a sé, convinto della “supremazia della ragione al di sopra dei sentimenti”. Un eroe alla rovescia pienamente convinto dei propri mezzi e della propria superiorità, che prova piacere a manipolare le menti delle persone che lo circondano. Luca è il suo migliore amico e lo segue, seppur con molti timori, per tenere fede ad un'amicizia che dura ormai da anni. Marco è ossessionato dall'idea di proteggere la madre, unico vero affetto rimastogli dopo la morte del padre. Sarà questo intreccio a trascinare i ragazzi verso un'avventura che li metterà a confronto con il proprio vero io, con le proprie paure, con le proprie responsabilità. A partire dal momento del sequestro gli avvenimenti si moltiplicheranno e le relazioni fra quanti sono implicati, anche a loro malgrado, nella vicenda si intrecceranno sempre di più. Lo sfondo della storia è l'ambiente adolescenziale: l'inizio della scuola, lo studio pomeridiano, gli amori mancati, il rapporto con i genitori, l'amicizia sono, infatti, gli elementi che caratterizzano la vita di questi “tremendi” adolescenti. Una vita deludente in perfetta armonia con la società alienante degli anni Novanta, dove la noia e la sfiducia spesso si trasformano in rabbia autodistruttiva. È la vendetta che alcuni ragazzi portano a compimento verso qualcosa che sfugge alla loro percezione, una mancanza incolmabile che li porta a rispondere in maniera violenta alle delusioni che hanno subito durante la loro vita, una scelta che impone l'uso della violenza come mezzo per emergere. L'alienazione, l'ambizione, la noia, i drammi familiari sono i motori che spingono i ragazzi verso l'uscita dall'anonimato ma rappresentano, allo stesso tempo, un vortice nel quale vengono trascinati senza via di scampo, un demone da cui inconsciamente cercano di fuggire. È un cammino che li porterà alla perdita dell'innocenza, ad una nuova presa di coscienza, alla consapevolezza che il “male” si nasconde dietro ogni cosa. Dopotutto è per “fare giustizia” nei confronti di Borghini che i tre decidono di sequestrare la figlia dell'imprenditore ma la vita è fatta di colpi di scena, di azioni istintive e di avvenimenti imprevisti. Lo scopriranno attraverso un'esperienza dalla quale non potranno tornare indietro.
(pubblicato su www.romanoir.it il 04.04.2008)



Federica Giordani
Ultimamente abbiamo sentito spesso parlare di adolescenti implicati in faccende di cronaca nera. Sempre di più si va creando l'immagine di menti lucide, calcolatrici, senza emozioni, che sarebbero in grado di architettare, compiere e infine nascondere nonostante la pressione giudiziaria e mediatica delitti efferati. Un'immagine inquietante che scardina quella della fanciullezza e dell'adolescenza come momenti di innocenza e ingenuità.
La storia raccontata da Domenico Geluardi nel suo primo romanzo, “Cynthia”, affonda le sue radici proprio in questo terreno di incertezza: un gruppo di giovanissimi liceali guidati dal diciasettenne Stefano Pessa, architettano e realizzano un rapimento ai danni di una coetanea figlia di un noto imprenditore. L'intera narrazione ruota attorno al personaggio di Stefano, un manipolatore di menti, il quale, con la fredda sicurezza del leder criminale, coinvolge i compagni in una vicenda sempre più complessa che porterà infine alla sua stessa distruzione. Interessante è il ritratto sociale che Geluardi riesce a dare di alcuni personaggio grazie e piccole e brevi pennellate narrative che arrivano direttamente al succo della vicenda. Pochi tratti che realizzano l'immagine di ragazzi fragili, isolati e spesso abbandonati dalle figure di riferimento della famiglia che vive una dimensione parallela contando sulla presunta maturità ed indipendenza dei figli. Meno riuscito il ritmo narrativo che a tratti risulta un po' lento.
Certo è che per gli amanti del genere il romanzo è una buona prova d'esordio che pone all'attenzione il nome di Geluardi nel mondo del giallo e del noir.



Narciso Martinelli
Ma che bello quando capita…di scoprire un talento
Faccio il mestiere di “recensore” (oh-mamma! che brutta parola!) da un po’ di tempo.
Un bel po’ di tempo.
Ma ogni volta che mi capita di avere tra le mani un libro d’esordio come questo, puntualmente, mi sento come uno di quei “cacciatori di tesori” da film d’avventura, che, facendo il bagno al largo di Ostia si imbatta in una trireme romana carica ancora di tesori predati ai cartaginesi.
Insomma, tutto questo per dirvi che Cynthia del romano Domenico Geluardi (l’esempio di Ostia non era dunque casuale) è davvero un bel noir, permeato delle tinte in chiaroscuro dell’ultimo cinema di Gabriele Salvatores.
I sessantasei giorni balordi (dal 21 settembre al 25 novembre 1992) dei giovani Stefano, Luca e Marco, si risolvono in una lunga e lenta discesa agli inferi che vede l’indifesa Federica, poco più che adolescente figlia di un imprenditore senza scrupoli, e la giovane e ambiziosa giornalista Cynthia Temperin, assurgere al ruolo di vittime sacrificali della follia innescata dal vuoto esistenziale e dalla noia.
Ma la storia non si risolve soltanto in un rapimento male organizzato e peggio condotto, che non può che risolversi in un disastro. No, a una lettura più attenta appare chiaro che l’autentico filo conduttore è rappresentato dall’inesorabile procedere di un ”cupio dissolvi” portato fino alle estreme conseguenze dal vero protagonista (in negativo) della vicenda, il cupo Stefano Pessa, indifferente a tutto tranne che al proprio vuoto morale. Un processo inesorabilmente distruttivo e autodistruttivo portato avanti con coerenza talmente estrema da non fermarsi neppure di fronte all’annientamento della propria vita.
Dunque un indiscutibile e incontestabile “buona la prima!” per il bravo Geluardi.
Adesso aspettiamo con curiosità la sua prossima opera, il “secondo tempo”: è universalmente noto che in letteratura, più ancora che in altre arti e discipline, più che affermarsi è difficile confermarsi.
(
http://www.patriziopacioni.it/news295.html)